Publistampa Edizioni

Il piacere di dare corpo e forma al libro e il privilegio di sceglierlo

A CASA NEL MONDO

20,00

Pensare il proprio tempo

di Nadia Beber
illustrazione di copertina: Adriano Siesser
pagine 304
prima edizione marzo 2017

ISBN 978-88-96014-89-9

Descrizione

Pensare le sfide del mondo con Arendt, oltre Arendt
Nota dell’autrice

Ho voluto dar vita a questo libro con l’intento di pensare insieme ad Arendt ma andando oltre Arendt, per cogliere le sfide che oggi il mondo, in parte diverso dal suo, ci sta ponendo. Solo così, sono convinta, possiamo “onorare” l’eredità arendtiana e celebrare la sua grandezza di pensatrice per la quale il senso della realtà supera e scompagina costantemente i progetti che la teoria ha su di essa.

Proprio per questo motivo, nelle considerazioni introduttive ho voluto parlare soprattutto del momento attuale e lasciare ai capitoli successivi del libro l’approfondimento dei temi quali totalitarismo, Shoah, banalità del male. E questo nell’intenzione di stimolare nel lettore un’interpretazione personale e il collegamento delle tragedie novecentesche con il momento storico che stiamo vivendo, confidando con arendtiana fiducia sull’individuale e unica capacità critica di cui dispone ogni singola persona.

Così, se nella premessa si parlerà di immigrati indesiderati, nei capitoli che seguono si approfondirà il tema degli ebrei apolidi, così come il tema della banalità del male e del non pensiero potrà rimandare alla mancanza di senso critico e della comoda ricezione passiva dei luoghi comuni e delle facili conclusioni e generalizzazioni che la maggioranza dei media e dei social con i quali veniamo in contatto ci propina quotidianamente. Ancora, quando verrà trattato approfonditamente il tema del nemico oggettivo in riferimento agli ebrei, non si potrà, a mio avviso, non pensare a come oggi viene utilizzato il concetto di identità culturale sulla base di un fondamentalismo che concepisce le singole culture come entità impermeabili. Atteggiamento e uso di una terminologia generalizzante che porta inevitabilmente a identificare l’altro in base alla sua diversità culturale, quest’ultima intesa come portatrice di male, proprio perché diversa.

Vorrei condividere con il lettore la mia convinzione che il pensiero arendtiano possa essere da stimolo alla comprensione della condizione dell’uomo nel mondo attuale.

Anche per questo motivo, mi sono soffermata sul fatto che non bastano né la compassione né la condivisione delle sofferenze, quando queste si limitano a cercare di riscattare la massa degli sventurati, anziché di istituire la giustizia per tutti, quell’arendtiano “diritto ad avere diritti”, come dimostra proprio Arendt nel suo testo più noto, Le origini del totalitarismo.

Il mio attingere ai testi di Arendt significa tradurre e modulare la straordinaria forza ricostruttiva della sua opera, disfacendone alcune tesi e reimpostandole in ordine alla configurazione che oggi noi diamo delle lacerazioni e delle tensioni del presente visto che il presente testo si propone di fare luce sulla condizione umana nel nostro presente. E l’ho fatto anche attraverso la categoria arendtiana di “banalità del male”. Attraverso quest’ultima ho preso infatti coscienza della fragilità e ambiguità dell’esistenza umana che, anche attraverso l’analisi del fenomeno totalitario, si dimostrerà mai immune al male nella convinzione che persino il male estremo ha una sua radicale banalità, ennesima manifestazione del senso profondo della radicale fragilità della condizione umana.

Per questo, ho voluto porre l’attenzione, contro l’hybris nichilistica, sull’individuo che esercita la propria responsabilità combattendo, rispondendo cioè alla sfida del male con le sue risorse e con la sua fragilità, nella convinzione che la dignità della condizione umana si gioca quando ne va di qualcosa di più della vita, ne va dell’amore del mondo, base della teoria politica di Arendt.

Attraverso la consapevolezza della cesura posta in essere dalla tragedia della Shoah, come potrete leggere negli ultimi capitoli del presente testo, ho voluto analizzare le implicazioni che tale cesura ha avuto nella filosofia novecentesca e nella teologia ebraica. Per giungere alla conclusione che è necessario per la filosofia ma anche per tutti noi, “imparare” dalla storia, ricorrendo al nostro pensiero per decifrare i nuovi tempi bui nei quali siamo precipitati, per non commettere più gli stessi errori, per riconoscerne i segni premonitori e agire di conseguenza.

Nella consapevolezza che, al pari dell’odio dell’ebreo o del nomade nel ’900, l’odio per i diversi o per i migranti di oggi è un odio contro noi stessi, perché la nostra storia, quella iniziata duecentomila anni fa, è in fondo la storia di un grande, infinito viaggio.

 

L’AUTRICE

Nadia Beber vive a Pergine Valsugana, in Trentino. È laureata in Filosofia e Linguaggi della Modernità presso l’Università degli Studi di Trento – Dipartimento di Lettere e Filosofia – con una tesi su “Il pensiero di Hannah Arendt tra totalitarismo, banalità del male e responsabilità individuale”.

È impegnata in ambito civico-sociale e nel contesto della solidarietà. Fa parte di Assiotea: Centro femminile di ricerca sulle pratiche filosofiche.

Possiede la qualifica di practitioner Philosophy With Children dopo aver partecipato al Corso di alta formazione di primo e secondo livello in “Philosophy With Children – fare filosofia con i bambini e gli adolescenti”.

Con Publistampa Edizioni ha pubblicato nel 2019 anche Vivere la parentesi.

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